È il momento di celebrare la Giornata nazionale del Made in Italy
Il 15 aprile si celebrerà la Giornata Nazionale del Made in Italy.
Nel 2024 le esportazioni italiane hanno raggiunto il valore globale di 623,5 miliardi di Euro, secondo il Rapporto ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Rispetto al 2023, si registra una minima flessione dello 0,4%; i settori farmaceutico e food hanno compensato le difficoltà dell’automotive e la contrazione delle esportazioni verso la Germania.
Segna numeri incoraggianti l’export italiano verso la Turchia (+23,9%), i Paesi OPEC (+6,6%), Spagna (+4,3%), Regno Unito (+5,3%) e paesi ASEAN (+10,3%). Made in Italy sempre più apprezzato, non solo nei tre settori storici, quale moda, food e design, e sempre più sinonimo di garanzia di qualità dei materiali, di grande ingegno progettuale, di accuratezza delle lavorazioni e nell’estetica.
In un periodo storico complesso, dove l’instabilità politica è predominante e le minacce dei dazi americani una certezza, la giornata nazionale dedicata al Made in Italy diventa un’occasione importante per fare il punto su come questo fiore all’occhiello nazionale possa essere tutelato, per continuare a crescere e rafforzare la propria reputazione.
Burocrazia, difficoltà di accesso al credito, scarsità di manodopera specializzata, costo del lavoro e tassazione tra i più alti d’Europa, cui si aggiungono numerose frodi a livello planetario a danno del vero Made in Italy e i dazi doganali che rendono i nostri prodotti poco competitivi, costituiscono nel complesso un mix pericoloso per le eccellenze italiane, prodotte spesso, dalle Pmi italiane, cuore del tessuto imprenditoriale del paese.
La forza del Made in Italy, quindi, da sola non basta: in ogni settore produttivo il problema è percepito come reale e si demanda alle istituzioni una presenza più incisiva per permettere alle Pmi di essere competitive e di crescere.
Sei imprenditori raccontano il loro Made in Italy
Roberto Impero, Ceo di SMA Road Safety, eccellenza italiana a livello internazionale nella produzione di dispositivi stradali salvavita, dalle barriere laterali agli attenuatori d’urto, denuncia come “la competizione straniera stia causando la vendita di prodotti a un prezzo nettamente inferiore a quello di mercato, rendendo insostenibile per i produttori nazionali stare al passo. I costi della manodopera, le normative sulla sostenibilità e la sicurezza dei lavoratori, oltre alle tasse, gravano in modo importante sulla competitività del prodotto italiano rispetto a quello importato. Nel nostro paese si impiegano spesso barriere turche, albanesi o coreane, senza alcun controllo di conformità dei produttori: è sufficiente un certificato CE per poter operare in Italia. Questa mancanza di controlli più accurati danneggia inevitabilmente i produttori nazionali e consente l’installazione di barriere di qualità spesso scadente, a discapito della sicurezza di tutti gli utenti della strada. Qualora un dispositivo salvavita straniero non dovesse funzionare correttamente, in che modo potremo rivalerci legalmente con il produttore che ha sede legale in Turchia, Albania o Corea?
In altri paesi Europei, invece, i Governi esercitano un controllo molto più attento sia sulle barriere installate sulle loro strade, sia sui produttori delle stesse barriere. In altre parti del Mondo, infine, si cerca di obbligare i produttori di barriere a produrle nel paese di destinazione, questo accade non solo negli Stati Uniti ma anche in India, Medio Oriente e Brasile”.
Nel mondo dell’automazione, Paola Veglio, a capo di Brovind Vibratori S.p.A., azienda che realizza soluzioni di movimentazione industriale su base vibrante, racconta che “La progettazione accurata e l’innovazione tecnologica sono le uniche armi in nostro possesso per resistere alla concorrenza estera. Esiste una dannosa disparità nei controlli sui materiali stranieri importati rispetto a quelli applicati ai prodotti italiani esportati. Norme oggettive su sicurezza, ambiente e qualità aiuterebbero a garantire una competizione equa. Servono, inoltre, una nuova narrazione sul ruolo degli operai e artigiani, valorizzando le loro competenze tecnologiche, e un maggior dialogo e collaborazione tra aziende e formazione scolastica, per sopperire alla difficolta di reperire personale altamente specializzato. Le Pmi faticano a competere con l’estero a causa dell’alto costo del lavoro e della scarsa tutela istituzionale. Spesso siamo abbandonati a noi stessi nella gestione dei problemi, così come delle iniziative che generano valore aggiunto per il territorio, scoraggiando le aziende a generare valore diffuso per il territorio”.
Alessandro Gatti, founder di maisonFire, azienda che produce caminetti green e tecnologici, senza canna fumaria, spiega che “Il Made in Italy non è solo un marchio, ma un valore che racconta sia la nostra storia che il nostro futuro. Ogni prodotto creato in Italia racchiude un innato gusto e amore per la bellezza, della quale siamo circondati. E non ha solo a che fare con il design, o con il soddisfare bisogni, ma anche con le emozioni che l’inconfondibile qualità artigianale italiana sa dare. Sostenere il Made in Italy significa investire quindi nel valore unico che solo l’Italia sa esprimere. I rigidi controlli nei processi produttivi e il costo del lavoro molto elevato sono fattori tutti italiani che in molti paesi stranieri, nostri competitor, non sussistono. Per incentivare l’export, ad esempio, auspico un lavoro più di affiancamento commerciale o di analisi del territorio/mercato di riferimento da parte delle ambasciate italiane nel mondo, cosa che accade in molti altri Paesi stranieri”.
Sul fronte delle energie rinnovabili, la competitività delle aziende italiane rispetto a quelle straniere deve essere presa in esame con urgenza, “La concorrenza, soprattutto asiatica, è soverchiante per il fotovoltaico Made in Italy” – afferma Daniele Iudicone, Ceo di IMC Holding ed esperto di energie rinnovabili. “In particolare la manodopera asiatica, dal costo estremamente più basso, rende molto più complessa la produzione sul suolo italiano. Inserendo incentivi e sgravi fiscali per i lavoratori del settore si potrebbe rendere la lavorazione più concorrenziale. In particolare, non andrebbero messi sullo stesso piano i prodotti europei e quelli lavorati in zone in cui la tutela della manodopera è perlopiù assente”.
Matteo Rivolta, Business Partner di RiFRA Milano e founder di Luxury Academy ribadisce la centralità “del libero scambio tra Stati Uniti e Unione Europea, capace di generare benefici tangibili per entrambi i Paesi: i costi si abbasserebbero, aumenterebbe la competitività delle imprese, favorendo occupazione, crescita economica, benessere condiviso e, non ultimo, stabilità internazionale. I dazi, al contrario, aumentano il rischio di recessione e incrementano il costo della vita per i consumatori statunitensi. Allo stesso tempo, queste misure protezionistiche possono danneggiare gravemente le Pmi italiane esportatrici, penalizzando le eccellenze del Made in Italy, in particolare quelle della meccanica e dell’automotive. Ritengo, invece, che aziende posizionate nell’alta gamma, orientate al consumatore finale, possano limitare i danni senza perdere troppe quote di mercato, in quanto si rivolgono già a un pubblico alto spendente, che non risentirebbe di un’eventuale aumento nei listini prezzi”.
L’Avvocato Fabio Maggesi, founder dello studio MepLaw, che assiste i connazionali che gestiscono business all’estero, spiega che “il Made in Italy, in quanto prodotto d’eccellenza, risulta non replicabile e standardizzabile e si scontra con svariate limitazioni imposte dai diversi paesi stranieri. Sono necessarie linee guida chiare e immediate per aiutare gli stranieri a riconoscere il prodotto “italiano” rispetto al Fake (o fac-simile). La commercializzazione di prodotti falsi, infatti, non solo danneggia economicamente le Pmi italiane, ma impatta negativamente sulla credibilità del brand Made in Italy, con ripercussioni in termini di sicurezza, salute e perdita di posti di lavoro. Una migliore politica legata all’agevolazione fiscale, inoltre, potrebbe incentivare e aiutare le Pmi intenzionate a stabilire una propria filiera oltre i confini nazionali. La politica dei dazi, se non prontamente corretta, impatterà notevolmente sulla possibilità di proseguire, con efficacia, nella vendita dei nostri prodotti migliori, creando ripercussioni in tema di qualità, rispetto al prodotto finale”.
Fonte: Business Weekly